Teatro

GIOTTO E IL TRECENTO

GIOTTO E IL TRECENTO

La sezione introduttiva (piano terra) esamina alcune Regioni, analizzando l'influenza di Giotto in ciascuna: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania. Sulle scale riproduzioni degli affreschi di Assisi introducono nei colori e nelle raffigurazioni del Maestro, continuando con la cappella degli Scrovegni, voluta a Padova nel 1305 da Enrico Scrovegni, periodo in cui Giotto affresca anche la cappella dell'Arena, tappa fondamentale nell'arte italica. Giotto di Bondone nacque a Vespignano nel Mugello nel 1266 circa e morì a Milano nel 1337. La mostra documenta come le varie aree culturali dell'Italia del Trecento abbiano reagito alla lezione di Giotto, traendone esempio e impulso all'innovazione. Infatti l'arte di Giotto attua una sintesi della tradizione antica e medioevale e pone le fondamenta del Rinascimento. Dalla classicità Giotto trae naturalezza e aderenza al reale, arrivando alla rappresentazione degli stati d'animo dei personaggi. Fondamentale è la formazione giovanile a Roma (con l'arte romana classica) ed il contatto con l'arte gotica francese attraverso manoscritti e manufatti trasportabili. I valori formali di Giotto costituiranno le basi linguistiche della cultura figurativa italiana successiva. Anche la miniatura accoglie rapidamente le innovazioni spaziali e volumetriche di Giotto: i miniatori italiani del Trecento, pur nella varietà degli accenti regionali, abbandonano le convenzioni grafiche bidimensionali del periodo precedente. Dai centri visitati da Giotto si irradia il rinnovamento del libro manoscritto, come ampiamente documentato nella prima sezione espositiva. Le opere su legno iniziano con Cimabue e la sua “Madonna con Bambino” del 1285, quasi icona bizantina affiancata alle opere di Giotto: dalle prime opere il pittore si confronta con i temi della volumetria ambientale e della tridimensionalità della figura, come nella Madonna da San Giorgio alla Costa: il trono marmoreo a motivi cosmateschi di derivazione romana sostituisce i troni lignei precedenti. A Roma Giotto lascia tavole importanti, come il Trittico per il papa avignonese. In mostra un raro disegno proveniente dal Louvre e raffigurante due figure maschili sedute. Un frammento di affresco con scena pastorale da Badia Fiorentina rivela la pennellata intensa e morbida. Da Padova arriva un “Dio Padre in trono”. Importanti nell'evoluzione figurativa il Polittico con il Bambino che mette la mano nella scollatura della Madonna ed il Polittico con il Bambino che con la mano sostiene il mento della Madonna, quest'ultimo dipinto su entrambi i lati. Un Santo Stefano è di rara perfezione, vicino al quale appaiono con chiarezza le opere di bottega. In mostra anche un mosaico ed una vetrata. Particolarmente affascinante il “Cristo benedicente” (da Releigh, North Carolina) fra i Santi Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Francesco e la Madonna in posa particolarissima, scelta come icona della mostra. Due piccoli Santi (Francesco e Giovanni Battista) sono inseriti nei tondi con gusto da miniaturista. Fra i collaboratori si segnalano Taddeo Gaddi, Jacopo del Casentino, Lippo di Benivieni e Bernardo Daddi. A seguire gli interpreti della lezione giottesca, in primis Puccio Capanna, poi Giusto de' Menabuoi, Paolo Veneziano, Altichiero, Giottino, Giovanni Baronzio e vari maestri non meglio identificati se non con le loro opere principali. I pittori delle Romagne sono i primi ad entrare in contatto con le novità giottesche, Pietro da Rimini e Giuliano da Rimini, dai quali si prosegue nelle Marche con Allegretto Nuzi e la piccola Madonna dell'Umiltà, tema caro ai marchigiani. In una teca al centro uno splendido gradino d'altare in bronzo di Andrea Pucci Sardi. Giotto arriva a Napoli nel 1328, la capitale angioina è al centro delle più aggiornate correnti artistiche del secolo (“Calvario” e “San Giovanni e la Maddalena dolenti”). Invece a Siena le novità di Giotto sono recepite in modo più indiretto rispetto al resto della Toscana (i fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini). Alla fine Milano con un paio di esempi. Importante, fra le sculture, Tino di Camaino, il cui Bambino fa una mossetta in braccio alla Madonna. Per quel che concerne le Marche, non ci sono riferimenti diretti né documentari né opere relativi al passaggio di Giotto nella regione, ma ci sono echi diretti, soprattutto nel nord (il Pesarese e il Montefeltro) per l'influenza della cultura figurativa riminese. Pietro da Rimini è autore del Cappellone di San Nicola a Tolentino, col ciclo cristologico e le storie di San Nicola da Tolentino, esempio supremo del Trecento marchigiano da cui ha origine una matrice pittorica locale che si confronta con la scuola locale di Lorenzo e Jacopo Salimbeni da San Severino, due fratelli che propongono modalità e soprattutto stilemi coloristici lontani dai giotteschi. Personalità singolare è il Maestro di Campodonico (vicino Fabriano) che mostra un eccentrico linguaggio di derivazione giottesca. A pittori non meglio identificati si aggiungono Allegretto Nuzi e Francescuccio Ghissi, entrambi fabrianesi. Nella seconda metà del Trecento la cultura marchigiana si apre all'aggiornamento del gotico internazionale con Gentile, anche lui da Fabriano. Il catalogo è diviso in due tomi per le opere e i saggi: il primo presenta solo le opere in mostra con schede dettagliate. Roma, Complesso del Vittoriano, fino al 29 giugno 2009, aperta da lunedì a giovedì dalle 9,30 alle 19,30, venerdì e sabato dalle 9,30 alle 23,30, domenica dalle 9,30 alle 20,30, ingresso euro 10,00, catalogo Skira, infoline 06.6780664.